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Stratfor: fra discutibile scientificità e “soft power” statunitense

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Wikileaks ha messo recentemente “a nudo” le attività di Stratfor, azienda texana che si occupa di analisi geopolitiche.
Lo scandalo che ne è seguito ci fornisce la possibilità di spunti di riflessione non solo sulla natura di tale ente non governativo e su come operi, ma soprattutto pone un evidente problema sulla scientificità delle notizie da cui i media occidentali traggono a piene mani per fare informazione.
In particolare, con l’aiuto degli hacker di Anonymous pare si stia scoprendo come Stratfor sia un vero e proprio centro di potere operante in favore del governo nordamericano attraverso la vendita di informazioni di intelligence agli alleati e, allo stesso tempo, costruisce “disinformazioni ad hoc” a tutto tondo al fine di sfruttare l’uso di un soft power, sempre più potente nell’era dei media.

Cos’è Stratfor e come opera?

Le recenti rivelazioni di Wikileaks sulla reale natura dell’azienda texana Stratfor e delle sue reali mansioni di intelligence privata al servizio degli Usa offrono numerosi spunti di riflessione su cui indagare; dobbiamo chiederci, in primis, cosa sia questa azienda, come operi, a favore di chi e per quali interessi.

Una volta che saremo in grado di rispondere a tali quesiti riusciremo ad addentrarci in questioni più complesse riguardanti l’opinabile scientificità delle informazioni e degli studi, mai messi in dubbio dai media nostrani di cui usufruiscono acriticamente, e infine comprendere quanto sia forte l’influenza che questi istituti esercitano sui poteri economici privati e statali e quanto essi a loro volte ne siano influenzati.

Sebbene non si possa ancora discorrere molto intorno ai contenuti delle numerose e-mail che Anonymous ha recentemente reso pubbliche, le quali risultano essere per i più le vere fonti di interesse primario svelanti nuovi e più disparati scenari geopolitici, l’intento che qui ci poniamo è di costruire una base solida di analisi partendo delle questioni citate in precendenza che andrà via via ampliandosi in base alle informazioni che avremo in possesso nei giorni a venire.

Innanzitutto cosa è Stratfor?

Essa è null’altro che un centro di potere vicino al governo americano (e non è l’unico, basti pensare a numerosi istituti molto potenti facenti capo a Washington) per il quale lavorano molti ex agenti governativi dei vari dipartimenti e che opera nell’ombra in coerenza con gli interessi “atlantici” fornendo servizi di intelligence e consulti a privati grazie alle ampie informazioni di cui dispone, nonché all’usuale brodo professionale e culturale di vicinanza con le istituzioni governative ufficiali.

Questa azienda può considerarsi un vero e proprio attore della politica internazionale non autonomo ma servente “i poteri forti”; sebbene non sia ancora chiaro fino a che punto possa incidere su scenari regionali e globali, è indubbio che le informazioni di cui dispone ne fanno un player strategico.

La fitta rete di clienti e privati di cui dispone, come accennato, non sono altro che governi, aziende ed enti governativi filo-atlantisti al servizio diretto e indiretto di Washington e pertanto l’influenza che esercita, come vedremo, è consistente.

Stratfor opera concretamente come un cavallo di troia del governo americano; essa non è ciò che sembra e sebbene noi non ci siamo accorti di cosa realmente stia nascondendo al suo interno, ha potuto portar avanti le sue strategie per anni.

Sappiamo che attinge informazioni grazie a una rete capillare di informatori posti ai più alti livelli governativi e non: da diplomatici a giornalisti, coloro che hanno accesso a informazioni confidenziali lavorano per questa azienda: come molti l’hanno definita, essa era un’ombra poiché oggi è possibile delinearne i veri contorni.

Grazie a queste informazioni non elabora solo analisi geopolitiche a cui tutti possono accedere via web, tramite newsletter: esse vengono altresì vendute da Stratfor al miglior offerente fornendo sovente consulenze che si traducono in vere e propri lavori di intelligence su commissione.

Si potrebbe dire, senza esagerare, che nell’epoca globale in cui viviamo, sapere è potere.

I casi di cui stiamo leggendo in questi giorni riguardano per lo più grandi compagnie che hanno usufruito di tali servigi come per esempio la Coca Cola; tuttavia quando potremo avere accesso alle e-mail riguardanti le politiche dei players della politica internazionale, da quel momento potremo aggiungere nuovi tasselli al mosaico Stratfor.

La non-scientificità di questi istituti si traduce in soft power

Dunque la reputazione di azienda deputata ad analisi geopolitiche che si è creata nel tempo, lascia spazio a quella di ente non governativo e attore chiave per gli Usa.

Il fatto che Stratfor sia riuscita a passare come centro di ricerca scientifico e neutrale quando invece è un centro di potere privato con legami istituzionali non deve destare stupore.

Essa ha convissuto con il governo americano che ne ha fatto un’ombra della Cia (così era conosciuta dagli esperti fino ad oggi) costruendole un facciata artificiale ad hoc non facilmente verificabile; gli stessi informatori non avrebbero guadagnato nulla dal rivelare la scomoda verità rischiando inutilmente i contatti con le alte posizioni governative.

Essa dunque uno dei veri e propri centri di diffusione della strategia interna e internazionale statunitense attraverso l’uso del soft power.

Ecco dunque il risultato finale delle sue azioni: promuovere il soft power americano che per noi si traduce in studi, conoscenze utilizzate dai decisori, opinioni su riviste e quotidiane; è uno strumento di maggior integrazione nella sfera degli interessi americani per gli Stati appartenenti alla sfera di influenza angloamericana, mentre per i governi ostili è uno strumento di persuasione.

Per quando riguarda il primo punto ( che in questa analisi ci interessa maggiormente) ecco che questo “potere leggero” esercitato su di noi mette in crisi il rigore e la scientificità di tutto ciò che si definisce informazione, di cui noi disponiamo quotidianamente e che anima quotidianamente le stanze dei bottoni e le nostre università.

Il soft power ne incide inevitabilmente, disintegrando il confine tra ciò che è autorevole e ciò che non lo è.

Stratfor infatti veicola informazioni, costruite ad hoc, di retaggio nordamericano, manovrate per fini specificatamente geopolitici da cui i nostri media e i nostri analisti attingono a piene mani per fare informazione; basti pensare alla sfilza di agenzie di stampa che costantemente ci riportano notizie targate Stratfor, e ai vari analisti nostrani che la citano senza nessuno scrupolo di correttezza delle fonti.

Viene considerata autorevole e affidabile quando in realtà calpesta i principi scientifici a favore di interessi specifici.
Lo sforzo che gli analisti, i decisori e i media europei dovrebbero fare, alla luce di quanto risulta sempre più evidente oggi riguardo le “disinformazioni” provenienti da fonti americane per lo più pilotate, diviene necessariamente quello di non prenderle per buone ma operare una comparazione con altre fonti al fine di filtrarle correttamente.

Questo ordine di cose oltre a porre un grosso problema di opinabile scientificità dell’informazione va ad intaccare il rigore di studi scientifici sulla politica di stampo americano che da sempre fanno parte del bagaglio culturale di coloro che si avvicinano allo studio della politica internazionale.

Ciò che dovrebbe essere oggettivo e neutrale non lo è più.

Ecco che il soft power americano rivive una nuova età dell’oro in un’accezione ancor più decisiva; nell’era post-moderna in cui viviamo, caratterizzata dal facile accesso alle informazioni grazie al web e non solo, poter disinformare o costruire informazioni ad hoc, significa creare una nuova forma di dominio più significativa di una semplice conquista territoriale del XX secolo o della frenetica corsa alle risorse geopolitiche di questa epoca.

Qui si conquistano le menti; si segue involontariamente e non coscientemente un modello americano a tutto tondo.

Orwellianamente, sembra davvero possibile immaginare noi stessi davanti ad un Grande Fratello che tutto controlla.

Stratfor protagonista di strategie geo-economiche?

Ora rispondiamo all’ultimo quesito che ci siamo posti: se parlare di influenza significa discutere di soft power americano, cerchiamo di capire nello specifico quanto forte sia l’influenza che questi istituti esercitano sui poteri economici privati e statali e quanto essi a loro volta ne siano influenzati.

Ovviamente non sarà la singola Stratfor a influenzare le varie politiche, ma di certo concorre a farlo e in maniera piuttosto massiccia, come andremo subitamente discorrendo.

La più potente e discussa banca d’affari del mondo, la statunitense Goldman Sachs, voleva sfruttare le informazioni geopolitiche riservate dell’agenzia privata d’intelligence americana Stratfor per fare “insider trading” e speculare sui mercati valutari e dei titoli di Stato attraverso un fondo d’investimento ad hoc denominato StratCap.

L’obiettivo era quello di utilizzare tali informazioni e analisi per commerciare nel campo degli strumenti geopolitici, in particolare titoli governativi, valute e simili nei mercati dei Paesi emergenti.
Va da sé che questa azienda texana sia in grado di sviluppare e pilotare strategie geo-economiche che, riflettendosi negativamente sui mercati internazionali, da un lato acuiscono il peso specifico di poteri economici privati il cui obiettivo risulta essere il profitto e dall’altro può costituirne di nuovi.

Dall’esempio addotto si evince come l’influenza si traduca in vera e propria manipolazione del mercato che si trova alla mercé di questi istituti, come abbiamo potuto appurare sulla nostra pelle con le valutazioni delle agenzie di rating (private eppure legate alle istituzioni Usa anch’esse).

L’influenza esercitata da Stratfor risulta essere tanto ampia quanto è il bagaglio di informazioni in suo possesso e da come intende o meno impiegarlo.

Goldman e Sachs nonostante i possibili profitti, diviene marionetta inconsapevole della Stratfor, marionetta di un centro di potere americano che fornisce informazioni “americane”. Ciò alimenta un circolo vizioso di difficile comprensione, ma che evidentemente è la particolarità di molte organizzazioni globali odierne, siano o non siano esse legate ufficialmente con il governo di Washington.

Conclusione

Dalle prime rivelazioni di Wikileaks si evince come il soft power nordamericano sia una delle armi più potente di cui questo governo può disporre.

Si parla molto e molto spesso di declino della superpotenza americana; se questo in parte è corretto, poiché alla luce della crisi economica vi sono stati sostanziali tagli ai budget Usa e l’emergere di nuove potenze ha causato la conseguente ridefinizione di strategie sullo scacchiere mondiale che ne hanno rimodulato la presenza, è pur vero che nessuno Stato, ente sovranazionale o più in generale attore internazionale, disponga dell’uso di un soft power determinante come quello statunitense.

Non la Cina, la quale sta tentando timidamente di colmarne il gap attraverso la creazione di media internazionali che divulghino informazioni in lingua inglese simili alla CNN ; chi controlla il soft power conta terribilmente in politica internazionale.
Stratfor rappresenta, in tal senso, un’lteriore risorsa ; come abbiamo visto questo centro di analisi geopolitici è un centro di potere in grado di influenzare le politiche filo-occidentali agendo come cassa di risonanza.

La domanda che sorge spontanea è: quante “Stratfor” ci sono? Probabilmente molte.

Il vero problema è che agiscono come ombre ed operando come tali, risulta arduo pensare che possano essere “smascherate” nel breve periodo.

Non è ancora possibile affermare quanto l’ influenza di questo “nuovo” centro di potere sia determinante; è possibile sostenere che esso sia l’esempio di come gli Usa siano ancora una super-potenza in grado, più di quanto pensassimo, di controllare l’informazione e la formazione così da servirsene a piacimento per i propri scopi.

* Vismara Luca Francesco è dottore magistrale in Relazioni Internazionali presso l’Università Statale di Milano

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